La natura morta e la food photography

Qualche tempo fa ho deciso di realizzare degli scatti di nature morte, come il mio maestro Ferdinando Cioffi fece prima di me. Ho sempre amato la luce del Caravaggio, la sua composizione, il chiaro-scuro, l’intensità dei colori e mi è venuto naturale cercare di ricrearla.

Alcune tipologie di fotografia implicano il non intervento sulla realtà, il fotografo è testimone e memoria ma non attore, o così dovrebbe essere per non turbare quanto sta fotografando.
Nello still-life (letteralmente “natura morta”) è l’esatto opposto: è il fotografo che spesso deve comporre il soggetto.

Nata tra il II e il III secolo a.C., anche se molto più conosciuta per i suoi interpreti del XVII secolo, la natura morta è uno dei soggetti pittorici che ha attraversato il tempo fino ad arrivare ai giorni nostri. Creare una natura morta significa scegliere un soggetto o una composizione, scegliere il “sapore” che questa composizione deve a vere e, cosa fondamentale, scegliere la luce.
Il parallelo tra natura morta classica e fotografia di cibo contemporanea è lampante.

La food photography è una forma di fotografia che nasce come impostazione dalla natura morta, il concetto base di moltissime fotografie di cibo è lo still-life, andiamo a inserire il soggetto (cibo) all’interno di una prima cornice (piatto/supporto) e successivamente in un contesto andando a scegliere il tipo di illuminazione e l’intensità della luce.
La luce è la vera discriminante di uno still-life, ogni luce dipende dall’interpretazione che vogliamo dare al piatto; ad esempio una luce troppo forte su un piatto di alta cucina rischia di sminuirlo così come una luce soffusa su un sandwich di una catena di fast food risulterebbe incoerente.
Nella food photography esiste una parte di reportage che nasce dalla necessità di mostrare il “dietro le quinte”, il processo di produzione di un piatto o di un prodotto, in questo caso è il gesto che si trova al centro più che la luce; le fotografie di reportage possono anche essere meno perfette da un punto di vista tecnico purché siano assolutamente vere e in grado di raccontare.

Con l’evoluzione della tecnologia e la moda del fotografare qualsiasi cosa prima di mangiarla, ci troviamo subissati da una quantità di immagini di cibo di ogni genere, alcune meravigliose altre un po’ meno. Contenitori come Instagram ci permettono di avere a disposizione ogni giorno nature morte contemporanee, a noi l’arduo compito di fare da setaccio e riconoscere la qualità di queste immagini.

Ph. © Matteo Zanardi

Matteo Zanardi

Ho avuto la fortuna di essere circondato sin da piccolo da cuoche, mia nonna materna e mia madre per passione, mia nonna paterna e le mie zie gestivano uno dei ristoranti storici del mio piccolo paese natale. Raccolgo e custodisco, insieme agli altri figli, un patrimonio di ricette tradizionali che ogni tanto sperimento (con risultati altalenanti visto che nelle loro ricette non fanno cenno ai loro segreti). Abbiamo un paio di orti in famiglia, e un forte legame con la terra e i suoi prodotti. Ho iniziato da molto piccolo a mettere le mani in pasta, letteralmente, la passione è cresciuta e si è sviluppata negli anni, insieme alla curiosità e ad alcune discrete competenze acquisite attraverso percorsi formativi e studi individuali. Laureato in ambito psico-sociale, assistente fotografo del Maestro Ferdinando Cioffi (a sua volta allievo di Richard Avedon – Magnum), fotografo professionista, sommelier AIS e onesto bevitore. Lavoro come libero professionista dal 1997 occupandomi di fotografia, comunicazione e organizzazione di eventi; ho concluso l’ultimo anno del corso AIS per Sommelier.